martedì 7 aprile 2009

Spunto di riflessione su precariato sociale e precarietà di lavoro

Precariato sociale e precariato di lavoro: confini sfumati, talvolta si confondono. Se parliamo di lotta alla precarietà, è opportuno soffermarsi un attimo sul significato e non partire a razzo contro la cosiddetta legge Biagi. Non confondiamo la flessibilità del lavoro, di per sè anche funzionale e concettualmente sana, con la precarietà del lavoro, che già semanticamente porta significati negativi.
La flessibilità, adeguatamente sostenuta da strumenti di sostegno al reddito, gli ammortizzatori "modernizzati", permette anzi addirittura di portare valore aggiunto, sia in termini economici al lavoratore, che in termini di miglioramento delle performance per le aziende. Crea tensione positiva nel sistema dell'offerta e possibilità di scegliere le risorse più adatte al sistema della domanda. E' evidente che stiamo parlando di flessicurezza, che in un sistema economico e sociale come il nostro semba lontano anni luce.La lotta alla precarietà parte, dunque, dalla consapevolezza che bisogna prima creare un adeguato e organico pacchetto di sostegni a paracadute, per coloro che si trovano in situazioni di non lavoro e, di contro, un'azione di tipo sanzionatorio per i casi di non osservanza delle regole.

2 commenti:

  1. Solo in Italia il termine flessibilità è consederato un sinonimo di "precarietà". D'altra parte, un lavoro flessibile dovrebbe essere pagato di più di un lavoro "rigido" mente è diffusa la concezione che un lavoratore flessibile debba essere anche pagato di meno. Inoltre, un lavoratore "flessibile" dovrebbe essere più tutelato di un lavoratore stabile (rigido).
    Esattamente all'opposto non vi sono (oppure sono disattese) tutele per questa tipologia di lavori.
    Manca del tutto, l'idea che si debba pervenire, per via contrattuale, ad una "flessibilità negoziata". Le OO.SS. tengono duro sui principi ma abdicano, per aree sempre pià ampie di mondo del lavoro, sulla sostanza, tutelando sempre di meno il lavoro. Nel 1977 (32 anni fa) fu coniato il termine "i non garantiti" per distinguere i lavoratori delle grandi aziende (pubbliche, naturalmente ma anche dei grandi gruppi privati e dei settori meno a rischio) da "tutti gli altri" individuando in tale contesto una condizione generazionale. I garantiti certo non erano i più giovani, sebbene in possesso di titoli di studio più alti della generazione precedente.
    Non mi pare che la situazione sia molto variata e, forse, cìè perfino un processo di regressione dal punto di vista della preparazione culturale di fondo.

    RispondiElimina
  2. Segnalo il Portale sulla Flessicurezza, dal sito www.pietroichino.it

    RispondiElimina